Il
due giugno 1946 era stato un giorno speciale per mamma e nonna (anche se lo fu
per tutto il Paese) perché per la prima volta furono chiamate a votare. Fino
allora le donne erano servite solo per cucinare o partorire figli o lavare
mutande. In compenso avevano il diritto di mangiare con gli uomini, dopo averli
serviti a tavola. A nonno faceva un po' strano quella novità, un segno di tempi
nuovi difficile da comprendere. Voleva bene a nonna, questo sì: quando la madre
gli morì presto lei gli fece da madre, moglie, sorella, socio, amante,
confidente. Non sarebbe stato nonno Gaspare senza di lei. Ma da lì a pensare
che avesse gli stessi diritti dell'uomo ce ne correva, per lui nato nel secolo
precedente. Le tradizioni erano importanti, la saggezza dei vecchi andava
ascoltata, come le parole degli uomini di chiesa. Ogni novità andava ben
valutata, invece sembrava che dopo la Liberazione tutto fosse rivoluzionato: via il
duce, via il re, via i padroni, via i preti. L'anarchia, insomma. Per questo
voleva votare per la
Monarchia, seppure il re durante il Ventennio non gli fosse
piaciuto, fiacco e incapace. Il fascismo non gli sconfinferava per niente, come
a nessuno in famiglia, gli sembrò sempre una tragica pagliacciata. Alla fine i
maschi di casa votarono per la
Monarchia e le donne per la Repubblica. Mamma
in verità non era sicura, ma con zio e nonno che cercavano di convincerla in un
modo, per reazione finì come nonna Amorina e, una volta tanto, fece
l’opposto.